L’uomo e la donna che vogliono vivere il loro battesimo devono andare verso le periferie, verso le periferie geografiche, le periferie culturali, le periferie esistenziali, devono andare con questa proposta evangelica... vivere in questa tensione, una tensione tra l'interiorità dell’incontro con Gesù che vi spinge verso fuori e pone tutto in questione, tra un andare e un tornare continuo.





MAGISTERO


Il Papa che sarà. Francesco nelle parole del Cardinal Bergoglio



Stiamo entrando in una nuova epoca nella storia dell’umanità. Questo cambiamento epocale è stato generato da enormi salti qualitativi, quantitativi, accelerati e cumulativi visibili nello sviluppo scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle sue applicazioni rapide e varie nei vari campi della natura e della vita. Siamo nell’èra della conoscenza e dell’informazione. Possedere e gestire questi due elementi significa custodire il potere. Questa nuova realtà dell’informazione tecnologica e dell’intercomunicazione cibernetica favorisce lo sviluppo globalizzato dell’universo finanziario, dell’economia, della produzione e dello sviluppo del mercato, soprattutto nel nuovo ordine economico mondiale, neoliberale, caratterizzato da un profilo di mercato libero e aperto. Questa globalizzazione, come ideologia economica e sociale, ha influenzato negativamente i nostri settori più poveri. Le ingiustizie e le disuguaglianze stanno diventando sempre maggiori e profonde. Tutto ciò cade all’interno del gioco della competitività e della legge del più forte, in cui il più forte mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, abbiamo grandi masse della popolazione escluse ed emarginate. Non si tratta più del semplice fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma è qualcosa di nuovo: con l’esclusione è interessata alla radice l’appartenenza stessa alla società in cui viviamo, perché così l’escluso non è più sopra o sotto, in periferia o senza potere, ma è fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma diventano “avanzi”.
Ha preso piede una cultura dualistica dove ciò che appare più moderno e progressista coesiste accanto al vecchio e miserabile. Questa cultura ha come orizzonte una visione individualista e un desiderio consumistico che è dominato da un forte interesse economico. Pertanto, stiamo assistendo a una profonda crisi dei valori e delle istituzioni tradizionali. La conseguenza di ciò è che in questi ultimi anni abbiamo osservato un rafforzamento di alcune espressioni di subculture minoritarie che, copiando modelli del “primo mondo”, chiedono pubblicamente il riconoscimento dei loro diritti.
Nella cultura predominante neoliberale, l’immediato, il visibile, l’ottenere tutto e subito, il superficiale occupano il primo posto e le cose reali cedono il posto all’apparenza. La globalizzazione ha significato un rapido deterioramento delle radici culturali, con l’invasione di altre tendenze culturali. Per rendersene conto basta ascoltare la musica, o guardare alle aziende alimentari, ai centri commerciali, ai mezzi di comunicazione. Così, con dolore abbiamo ancora da chiederci se veramente c’è un’identità e solidarietà come persone che vanno di là di certe ideologie “occasionali, del momento”.
Il substrato della nostra cultura cattolica è una realtà viva. Troviamo in ampi settori della nostra gente, soprattutto tra i più bisognosi, una riserva morale che guarda ai valori dell’umanesimo autentico che si manifesta nella solidarietà, reciprocità, partecipazione, offrendo spazi reali per la vita comunitaria. Non possiamo tuttavia ignorare anche le debolezze che sono ben presenti: il machismo, l’alcolismo, l’eccessiva paura della punizione divina, la superstizione, il credere nella sfortuna e il fatalismo che fa ricorso anche alla stregoneria. Come arcivescovo di Buenos Aires, posso dire che la tradizione cattolica del nostro popolo affronta oggi la sfida del pluralismo religioso e la proliferazione di movimenti religiosi. La moltiplicazione di questi movimenti è, da un lato il risultato di una reazione del sentimento religioso contro la società materialistica, consumistica e individualista; e dall’altro lato i movimenti approfittano delle lacune nella popolazione che vive nelle periferie e nelle aree impoverite. Coloro che sono in mezzo al grande dolore umano cercano soluzioni immediate a queste esigenze. Questi movimenti religiosi sono caratterizzati dalla loro capacità di penetrazione sottile che permette di colmare, all’interno di un individualismo imperante, il vuoto lasciato dal razionalismo laico. Questa “spiritualità” è incentrata sulla ricerca di benessere individuale, che nega la sofferenza come parte della vita, che si trasforma in autoaiuto o pseudo miracolo che consente di raggiungere i propri obiettivi, senza un ulteriore impegno per la società.
E’ necessario riconoscere che se parte del nostro popolo di battezzati non sperimenta la propria appartenenza alla chiesa si deve, in molti casi, a una evangelizzazione superficiale che caratterizza gran parte della popolazione, a un cattolicesimo tradizionale senza catechesi e senza vita sacramentale. Se questo accade è anche per l’atmosfera poco accogliente che si respira nelle parrocchie e comunità, e in alcuni luoghi anche per una liturgia altamente intellettuale e verbale e per un atteggiamento burocratico nell’affrontare i problemi complessi della vita delle persone nelle nostre città.
Il processo di secolarizzazione tende a ridurre la fede e la chiesa cattolica nella sfera intima e privata. Il secolarismo, negando ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale, un aumento progressivo del relativismo morale che causa un disorientamento diffuso, soprattutto nella fase dell’adolescenza e della gioventù così vulnerabile ai cambiamenti.
La sfida radicale e avvolgente che abbiamo davanti è la profonda crisi di valori della cultura.
Indubbiamente si è avuta una crescente consapevolezza della identità e della missione dei laici nella chiesa. Ma la consapevolezza di questa responsabilità non si manifesta allo stesso modo in tutto il mondo. E questo perché non tutti i laici sono adeguatamente preparati ad assumersi la responsabilità, oppure non riescono a trovare spazio nelle loro chiese particolari per potersi esprimere e agire a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene ai margini delle decisioni e da una partecipazione più attiva.
La formazione dei laici e l’evangelizzazione dei gruppi professionali e intellettuali costituisce una vera priorità pastorale e una sfida urgente
La pastorale giovanile, proprio come ci eravamo abituati a portarla avanti, ha subito l’urto dei cambiamenti sociali, e i giovani spesso non trovano risposte alle loro preoccupazioni, ai loro bisogni, problemi e infortuni. 
Le vocazioni sacerdotali sono diminuite e talvolta anche le poche che si registrano sono sintomo di una società mutevole e superficiale. Influenza anche la mancanza di spazio interno di tanti giovani a trovare la loro vocazione dalla necessità di trovare uscite immediate che li portano a risolvere premendo i problemi economici. In altri casi la mancanza di zelo apostolico nelle comunità rende difficile suscitare le vocazioni.
Tuttavia, nonostante la crisi vocazionale, c’è più chiara coscienza della necessità di una migliore selezione dei candidati al sacerdozio. Nelle nuove generazioni si registra una fragilità e una mancanza di coerenza che porta in poco tempo all’abbandono dell’abito.

E’ fondamentale valutare lo zelo per l’evangelizzazione, che deve essere sempre più caratterizzato da creatività pastorale, spirito missionario e vicinanza a chi è più lontano. Deve crescere il senso di preoccupazione per i poveri
Ma ci sono anche ombre, che si manifestano in quelle persone che attraverso la chiesa cercano di tagliare traguardi personali. Da più parti, molti fanno troppo poco, sono sedentari

La parrocchia rimane il riferimento pastorale concreto e attuale. Nelle parrocchie c’è una ricerca per l’esperienza del senso di comunità della chiesa. L’organizzazione delle regioni pastorali, vicariati, decanati hanno contribuito a realizzare piani organici per la pastorale. Ma non si può non riconoscere che, in alcuni casi si continua a dare la predominanza all’aspetto amministrativo su quello pastorale, come alla sacramentalizzazione senza evangelizzazione.
La famiglia attraversa una crisi profonda e la risposta della pastorale matrimoniale e prematrimoniale risulta insufficiente. Nella società, il matrimonio come sacramento ha perso molto valore. Una sfida per i sacerdoti è quella di aiutare le persone coinvolte in alcune situazioni matrimoniali che non consentono loro di accedere al sacramento dell’eucarestia a partecipare alla vita della chiesa. Altre volte, pur potendo ricevere l’eucarestia non sono state in grado di farlo. Bisogna incoraggiarli e dare loro il benvenuto nella parrocchia affinché possano accostarsi alla chiesa. La catechesi familiare è stata un contributo molto importante nel collegare le famiglie alla vita della chiesa, ma oggi è in crisi.

La pastorale della catechesi rimane un mezzo privilegiato per trasmettere e rinvigorire la fede della comunità. Al centro di tutto, il Vangelo. Il ministero pastorale biblico si sta aprendo spazi per un’approfondita formazione e la crescita spirituale del popolo di Dio. E’ necessario, però, che per una catechesi più biblica, impegnata ed esperenziale ci sia una preparazione migliore, sia a livello biblico sia a livello teologico.
Molti cristiani vivono ancora una separazione tra fede e vita che si manifesta soprattutto nella mancanza di una chiara testimonianza dei valori del Vangelo nella loro vita personale, familiare e sociale. Anche se nella stessa società e tra i fedeli della chiesa c’è un grande divario tra ricchi e poveri che tende ad aumentare, vale la pena notare la crescita di solidarietà e consapevolezza del dovere della carità. Questo si riflette in quanto – sebbene in molte zone sia aumentata povertà e miseria – si sono moltiplicate le iniziative a sostegno dei più bisognosi, soprattutto da parte di laici.
La pietà popolare è radicata nel cuore e nella vita delle persone, al punto che molte delle tradizioni religiose che sopravvivono danno identità al popolo in luoghi e situazioni. I santuari nel nostro paese, oltre a essere i luoghi dell’espressione di fede popolare, sono diventati luoghi privilegiati di evangelizzazione e di conversione. E’ anche vero che spesso l’accento è stato posto più sulle forme esteriori della tradizione e della devozione che sul contenuto della fede stessa. Scopriamo in questa pietà popolare un punto d’ancoraggio che abbiamo bisogno di capire, rispettare ed evangelizzare. Se da un lato a volte sembra un cristianesimo fatto di devozione, con un’esperienza di fede individuale e sentimentale, dall’altro troviamo anche i valori che possono rappresentare la forza per costruire una società più giusta: la solidarietà con l’uomo sofferente, la sensibilità di bisogno sociale, di voler aiutare coloro che non hanno la forza della fede che si esprime soprattutto in tempi di crisi e di disperazione rivolgendosi a Dio per trovare conforto e speranza, accogliere lo straniero. E’ urgente una forte catechesi anche riguardo la pietà popolare.
Affermiamo la validità della pietà popolare cattolica come una forma di inculturazione e la comunicazione della fede, ma negli ultimi decenni abbiamo notato una certa disidentificazione con la tradizione cattolica, la mancanza di trasmissione alle nuove generazioni e l’esodo verso altre comunità (i più poveri verso evangelismo pentecostale e alcune nuove sette) ed esperienze (nella classe media e alta verso esperienze spirituali alternative) che stridono con l’impegno sociale della chiesa. Ciò è dovuto in parte alla crisi del dialogo familiare, all’influenza dei media, al soggettivismo relativistico, al consumismo nel mercato, alla mancanza di accompagnamento pastorale per i più poveri.
In riferimento alla dimensione sociale, avvertiamo una disuguaglianza scandalosa che ferisce la dignità personale e la giustizia sociale. Guardiamo la situazione dell’America latina. Tra gli anni 2002 e 2006 il tasso di indigenza in Argentina è cresciuto dell’8,7 per cento. C’è il 26,9 per cento di poveri e noi facciamo parte della regione più ineguale al mondo. Persiste l’ingiusta distribuzione della proprietà, che configura una situazione di peccato sociale che grida al cielo.


Il testo pubblicato è il discorso tenuto nel maggio 2007 ad Aparecida (Brasile) dall’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, in qualità di presidente della Conferenza episcopale argentina, alla quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano
e del Caribe.


Il Foglio 22 marzo 2013



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